La Galleria > Un anno a Corneliano > La CriticaIl quotidiano come simboloIl paesaggismo ha una lunga tradizione, che si sprofonda nei secoli; ma ha avuto una speciale fortuna, come tema espressivo, a partire dall'Ottocento, quando sempre meno l'iconografia descrittiva ha puntato su effetti pittoreschi e sempre più la comunicativa è stata affidata alla semplicità del narrare, e alla semplicità del soggetto medesimo. Andrea Ferrari Bordogna è partito da qui, dalla memoria dei toni minori, in sordina, propri di una pittura affidata a silenziosi respiri. Ed è anche partito da una cultura novecentista attenta e approfondita, giacché nella sua pulita espressività, dolce e insieme incisiva, avvertiamo la consapevolezza delle formule nate con il gruppo del Novecento, da Rosai a Carrà. Questo si dice non per sottolineare esplicite referenze (giacché anzi, come vedremo, la sequenza di Ferrari ha tratti personalissimi); ma per indicare, intanto, la collocazione colta e moderna di questa apparente ingenuità; e per mettere in evidenza l'originale misteriosa trasfigurazione di un repertorio iconografico che ha radici storiche. Andrea Ferrari ha dunque deciso di vivere a Corneliano; luogo immerso in una parte della campagna lombarda liscia e distesa; ma nel contempo luogo dalla fisionomia storica, che rievoca il Medioevo attraverso tracce dirette o di fantasia. Luogo, insomma, collegato all'idea di un remoto, temporale o spaziale, in cui l'artista si è immerso, guardandolo appunto da lontano. Dal dicembre del Duemila, per un anno, l'artista ha registrato via via il variare e modificarsi delle vedute dalla notte al giorno, dall'inverno all'estate; talvolta descrivendo particolari ambientali, accostando lo sguardo a stralci paesistici; il più delle volte puntando l'occhio nella profondità della campagna: il tutto sempre immerso in una totale silenziosa solitudine, non interrotta da alcuna presenza umana o animale. Con lui vediamo sorgere il sole, diffondersi la luce attraverso una leggera nuvolaglia, emergere dall'indistinto grigiore case, straduccole, anche oggetti di lavoro; e tutto via via di nuovo coinvolto nell'incombere della notte, questa assai spesso rappresentata da un cielo turchino con lo spicchio di luna. Anche i passaggi di stagione appaiono mutazioni vibranti di una realtà che resta tuttavia sprofondata nel remoto; le piante fioriscono, ma i fiori sono come le stelle notturne, splendenti, palpitanti, però sempre lontani da noi. Dunque, quello che l'artista coglie nel paesaggio verso il quale dirige lo sguardo, è la piena solitudine esistenziale? Non proprio. Coglie, si direbbe, il senso del perdurare della vita nel lungo respiro del tempo; e il senso del palpitare della vita stessa nell'apparente monotona profondità di spazi invariati: tanto è vero che nel silenzio notturno si disegnano a un tratto figurette angeliche, l'emozione prende corpo in immagini simboliche. Perché davvero tutto è simbolo nell'attenta, pulita e insieme preziosa rappresentazione che Ferrari ci dà del suo Corneliano Bertario; simbolo del perdurare e trasformarsi delle immagini, dell'essere la realtà sempre se stessa e sempre diversa. Non ce n'è, in queste vedute, una uguale all'altra; non ce n'è una trascurata, trasandata, fiacca; remote ma vissute con l'anima. E va detto, per concludere, che la formula espressiva dell'artista, sulle cui radici culturali si è accennato in esordio, ha un'eccezionale finezza di tratto, riuscendo di volta in volta a indicarci sottili dettagli (non c'è pennellata che non sia eseguita con attento amore senza togliere senso all'atmosfera comune). Le immagini si giovano anche dell'applicazione dei colori su una tela di sacco ricca di consistenza materica: come dire, tridimensionale. La lettura che Ferrari dà di Corneliano è la sua lettura; ma, come avviene quando un artista possiede sensibilità creativa, ci stimola a guardare il paesaggio con speciale intensità e a coglierne aspetti lirici e conturbanti. Tanto più seducente questa lettura quanto più la Rivoltana di primo acchito ci si presenta come terra semplice, dai tratti poveri. Ma proprio questa povertà, questa sorta di nudità, accompagna il nostro occhio verso emozioni profonde. Rossana Bossaglia |